mercoledì 13 dicembre 2006

Schiele e gli amici carrozzieri


Sabato ci siamo visti le esposizioni in corso al Mart di Rovereto: Mitomacchina e Schiele, Klimt, Kokoschka e gli amici viennesi.
Vivamente consigliata Mitomacchina che, suddivisa per tipologie di vetture, fornisce una fantastica panoramica dalla prima auto in assoluto, permettendo di ammirare dal vivo pezzi unici che altrimenti è praticamente impossibile vedere. A meno di essere Motezemolo, chiaro.
Stupende Alfa di tutti i tempi, concept car storiche e ovunque il genio italiano che fa scuola e reinventa di continuo usi e stili, mostrando tutto il fascino di queste scatolaccie maledette.
C'è però un pensiero angosciante che ronza nella testa durante tutta la visita: è possibile che la Ford T e la Ferrari 599 Fiorano funzionino con lo stesso principio, a 100 anni di distanza?

Bella (ma un po’ piccola….) la mostra sui pittori viennesi.
Spettacolari i dipinti di Schiele (da urlo i tre ritratti esposti affiancati!), come quelli di Klimt, che purtroppo però sono solo tre e qualche disegno. Molto belli anche tutti gli altri amichetti, Oppenimer su tutti.
Un piccolo appunto: si capisce come si deve girare solo guardando i numeri dell’audioguida sotto i quadri. Ok l’estetica, ma una freccettina in più a volte… (Nda: entrando si va prima dritto e poi a sinistra. Ovviamente l’abbiamo imboccata subito al contrario!).
Questo è il link al museo: http://www.mart.trento.it/. Consigliato acquistare i biglietti su internet con prenotazione dell’orario, si entra subito. Altrimenti c’era una bella fila.Ultimo ma non ultimo l’edificio di Mario Botta. Bello, sobrio e ben organizzato. Bravo Mario.

giovedì 7 dicembre 2006

La cosa più difficile


Qualcuno sostiene che la cosa più difficile da disegnare sia la sedia.
Perchè ne esistono milioni di tipi.
Non è un concetto del tutto scorretto, anzi. Fino a ieri ho citato spesso questa affermazione.
Poi mi è capitato di disegnare un tavolo.....

giovedì 30 novembre 2006

Una vita migliore?


Un mese fa esponemmo alcuni prodotti da noi disegnati ad una mostra per i 10 anni del corso di Disegno industriale di Genova: una caffettiera e due poltroncine, delle quali una attualmente in produzione e un prototipo.
La sera dell’inaugurazione tra le parole scambiate e le osservazioni percepite, mi si presentò una ragazza, direi una studentessa, che, dopo aver capito chi fosse il disegnatore di quegli oggetti, mi rivolse una perplessità a cui ho molto pensato in seguito.
Il senso era più o meno questo: che senso hanno questi oggetti? Che valore aggiunto apportano al benessere di chi li usa?
Dopo uno scambio di battute la sua conclusione fu: il buon design deve servire per rendere migliore la vita, se non lo fa, non serve a nulla.
Lì per lì risposi che l’intevento su quegli oggetti fu solamente stilistico, lo scopo era quello di dire qualcosa di diverso e se non la rendevano migliore, la vita, almeno la rendevano più bella! (spero)

Qual è lo scopo del design?
Il pensiero di quella ragazza è molto romantico, e molto interessante. Ed è anche molto studentesco. Rispecchia perfettamente l’idea di chi si avvicina al design e alla progettazione con la passione e l’ingenuità degli studenti. Come facevo io, del resto, e trovo non ci sia nulla di male. Se i principi su cui ci si forma sono di questa caratura, si parte sicuramente da basi molto positive.
Ma forse è bene che i professori universitari servano anche a insegnare ai ragazzi che cosa vogliono realmente quei signori che producono oggetti là fuori e che un giorno avranno bisogno delle loro idee.
Il design, forse, non può sempre migliorare la vita e, a volte, apparentemente non deve!
Il buon industrial design, per definizione, deve assecondare le richieste di un’azienda. E non è per nulla scontato che questa voglia un oggetto che migliori o semplifichi la vita dell’utente finale. Il committente vuole un oggetto che si venda. Tutto quello che serve per ottenere questo scopo è a disposizione del designer.

Esistono milioni di poltroncine sul mercato. Eppure ogni stagione ci sono centinaia di teste che si fondono per proporre qualcosa di nuovo. In quale percentuale, sul totale delle poltroncine nuove immesse sul mercato in un anno, queste miglioreranno effettivamente la vita a chi le utilizzerà?
Molto più probabilmente lo faranno in quanto begli oggetti. E sarebbe già uno stupendo successo.

Il designer deve progettare per dare al committente ciò che è meglio per lui, ma che non sempre corrisponde a quello che ha chiesto. Il buon progettista dovrebbe capire quello che realmente è necessario al cliente ed indirizzarlo verso la realizzazione di un prodotto che soddisfi le reali esigenze della sua azienda.

Se il committente chiede una sedia scomoda allo scopo di fare stare seduti per meno tempo i clienti di un fast food e dare un ricambio più rapido al locale, il designer sarà costretto a disegnare una sedia scomoda. Magari bella, ma scomoda. (Perlomeno bella). Il cliente del fast food, come utente finale del prodotto, non avrà certo una vita migliore, anzi! Allo stesso tempo, però, se l’oggetto funziona per lo scopo per cui è stato progettato, sarà il committente del designer ad essere soddisfatto, potendo vendere un buon prodotto ai propri clienti.
Ciò non toglie che il designer possa trovare soluzioni alternative per raggiungere il medesimo scopo, nonostante i tempi proibitivi ai quali quasi sempre è sottoposto.

Quindi alla fine aveva ragione quella ragazza! Il Design serve davvero a migliorare la vita di qualcuno: il committente. La cui vita è migliore, in genere, quando fattura di più….